sabato 30 marzo 2013

Sette adolescenti su dieci consuma bibite energetiche

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 Marzo 2013


L’EFSA ha pubblicato una relazione su uno studio da essa commissionato che per la prima volta raccoglie i dati sul consumo di bevande “energetiche” a livello europeo per gruppi specifici della popolazione, inclusi bambini e adolescenti. Lo studio stima anche l’esposizione dei consumatori, attraverso il consumo sia acuto sia cronico, ad alcuni principi attivi rilevati nelle bevande “energetiche” – principalmente caffeina, taurina e D-glucurono-y-lattone. Dallo studio è emerso che, tra gli intervistati[2], il gruppo di età con la più alta probabilità di consumare bevande “energetiche” erano gli adolescenti (il 68 % del totale degli intervistati) e che le bevande “energetiche”, se consumate da bambini di età compresa tra 3 e 10 anni, rappresenterebbero il 43 % della loro esposizione totale alla caffeina.


Lo studio esterno, commissionato secondo la procedura di aggiudicazione delle sovvenzioni e degli appalti dell’EFSA, ha inoltre esaminato determinate abitudini di consumo delle bevande “energetiche” (co-assunzione di alcol o consumo associato a intenso esercizio fisico) negli adolescenti e gli adulti.
I risultati forniscono dati importanti per la prossima valutazione del rischio da parte dell’EFSA per quanto riguarda la sicurezza della caffeina. Nel quadro di un mandato più ampio, è stato chiesto dalla Commissione europea all’EFSA di determinare se e in quale misura il consumo di caffeina associato ad altri componenti alimentari, come alcol o sostanze riscontrate nelle bevande “energetiche”, possa rappresentare un rischio per la salute come risultato delle interazioni tra tali componenti.
I risultati principali dello studio sono i seguenti.
  • Adulti (18-65 anni): circa il 30 % degli adulti intervistati erano consumatori di bevande “energetiche”[4]. In circa il 12 % di questi, il consumo era “elevato e cronico” (consumo regolare 4-5 giorni alla settimana o più), con una media di 4,5 litri in un mese. In circa l’11 % dei consumatori, il consumo era “elevato e acuto” (almeno 1 litro in una sola volta).
  • Adolescenti (10-18 anni): circa il 68 % degli adolescenti intervistati erano consumatori di bevande “energetiche”. In circa il 12 % di questi, il consumo era “elevato e cronico” con una media di 7 litri in un mese, e nel 12 % il consumo era “elevato e acuto”.
  • Bambini (3-10 anni): circa il 18 % dei bambini intervistati erano consumatori di bevande “energetiche”. In circa il 16 % di questi, il consumo era “elevato e cronico” con una media di 0,95 litri alla settimana (quasi 4 litri in un mese).
  • Assunzione contemporanea di alcol: i profili di consumo combinato nei consumatori adulti (56 %) e adolescenti (53 %) erano simili.
  • Consumo associato alle attività sportive: circa il 52 % dei consumatori adulti e il 41 % dei consumatori adolescenti hanno dichiarato di consumare bevande “energetiche” durante lo svolgimento di attività sportive.
  • Contributo delle bevande “energiche” all’esposizione totale alla caffeina: circa l’8 % nei consumatori adulti, il 13 % negli adolescenti e il 43 % nei bambini.
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Lo studio è stato commissionato dopo che i rappresentanti di alcuni Stati membri hanno espresso la loro preoccupazione riguardo alla crescita di popolarità delle bevande “energetiche” in Europa e alla conseguente potenziale esposizione alla caffeina e ad altri ingredienti, in particolare tra bambini e adolescenti.
 
 
 
 
 





  1.  Nello studio sono definiti “consumatori” gli intervistati che hanno dichiarato di avere consumato bevande “energetiche” almeno una volta nell’anno precedente.
  2.  Più di 52 000 intervistati totali.
  3.  L’indagine ha coinvolto più di 52 000 persone in 16 dei 27 Stati membri, che sono stati selezionati per dare una copertura adeguata della popolazione dell’UE e dei differenti profili di consumo.
  4.  Non esiste alcuna definizione concordata per bevande “energetiche”, pertanto in questo studio la categoria ha incluso quelle bevande non alcoliche contenenti caffeina, taurina e/o vitamine (spesso in combinazione con altri ingredienti) che sono immesse sul mercato per i loro effetti stimolanti, energizzanti e di amplificazione delle prestazioni, reali o percepiti.

 
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            Quanti caffè fareste bere ad un bambino ?
 
 
 
       



Gli energy drink non sono prodotti adatti ai minori, alle donne in gravidanza e agli adulti con problemi cardiovascolari. Il loro consumo inappropriato o eccessivo può avere un grave impatto sulla salute.
 
 
 
 

Ragazzina beve 1,5 litri di energy drink e muore

L’abuso della bevanda energetica Monster potrebbe aver causato la morte di una ragazza di 14 anni negli Usa

Può metterti le ali, ma può anche ucciderti: una quattordicenne del Maryland ha bevuto due grosse lattine di Monster Energy e ventiquattro ore dopo è crollata. Due lattine della nota bevanda energetica da 0,7 litri corrispondono alla caffeina contenuta in sette lattine di Coca-Cola. L’autopsia ha confermato che Anaïs F. è deceduta a causa di un «grave scompenso cardiaco dovuto all’avvelenamento da caffeina». La famiglia della giovane ha deciso di fare causa al gruppo, mentre la Food and Drug Administration sta indagando altre morti sospette.




US girl, 14, 'died from heart attack after just two cans of Monster' in fifth death linked to energy drink

  • Anais Fournier, from Maryland, had heart attack brought on by 'caffeine toxicity' two days before Christmas last year
  • Her parents have launched wrongful death suit over 'death trap' drink 
  • Monster is the leading U.S. energy drink by volume with 39% of market
  • Energy drink, described by the company as 'killer energy brew', contains seven times the amount of caffeine as can of cola

""The FDA reported people had adverse reactions after they consumed Monster Energy Drink, which comes in 24-ounce cans and contain 240 milligrams of caffeine - or seven times the amount of the caffeine in a 12-ounce cola.
The wrongful death suit, filed in California Superior Court in Riverside, said that after drinking two 24-ounce cans of Monster Energy on consecutive days, Anais went into cardiac arrest.
An autopsy revealed the teenager, from Hagerstown, Maryland, died of cardiac arrhythmia due to caffeine toxicity that impeded her heart's ability to pump blood.""



















giovedì 28 marzo 2013

L’Italia è tra i produttori di cibo meno contaminato in Ue e nel mondo…ma è anche importatore !

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È questa la conclusione del dossier realizzato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) riferito al 2010 e pubblicato a marzo 2013.


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La relazione annuale, pubblicata il 12 marzo 2013, fornisce una panoramica sui residui di pesticidi riscontrati negli alimenti nel 2010 nei 27 Stati membri dell’UE, oltre che in Islanda e Norvegia. Nell’ambito di questa analisi, l’EFSA ha sperimentato un approccio innovativo per il calcolo dell’esposizione attraverso la dieta noto come “valutazione del rischio cumulativo”. Diversamente dalle tecniche consolidate, che valutano i residui di pesticidi singolarmente, questo approccio considera gli effetti potenziali dell’esposizione multipla a diverse sostanze chimiche che possiedono proprietà tossicologiche simili.
In totale, sono stati analizzati più di 77.000 campioni di circa 500 diversi tipi di cibo (grezzo o elaborato) per ricercare  residui di antiparassitari dalle autorità nazionali competenti


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Il responsabile dell’unità Pesticidi dell’EFSA, Herman Fontier, ha dichiarato: “Questa relazione annuale sui residui di pesticidi offre importanti raccomandazioni per migliorare il monitoraggio a livello sia nazionale sia di UE. Ciò garantirà che i gestori del rischio possano disporre delle informazioni più accurate e pertinenti in base alle quali assumere decisioni.”Oltre a valutare l’esposizione tramite la dieta, l’EFSA ha condotto per la prima volta una valutazione del rischio cumulativo come parte della relazione 2010. Lo scopo principale del programma pilota era valutare la necessità di migliorie alle modalità con cui gli Stati membri riportano i dati di monitoraggio. L’EFSA ha evidenziato il valore di questo lavoro sperimentale di valutazione del rischio cumulativo come precursore di un miglior utilizzo di tale approccio nelle relazioni future. Ma è stata anche riconosciuta la necessità di raccolte di dati supplementari da parte delle autorità nazionali e di modifiche alla metodologia, al fine di ridurre le significative incertezze riscontrate nei risultati.


Fontier ha poi aggiunto: “La valutazione del rischio cumulativo si basa su un’analisi fine e sulla comprensione dei possibili tipi di tossicità congiunta delle sostanze chimiche negli alimenti. Essa richiede metodologie sofisticate in grado di gestire e combinare quantità enormi di dati. È per questo motivo che la valutazione pilota del rischio cumulativo presentata nell’ultima relazione è volta a testare la metodologia di valutazione del rischio piuttosto che i risultati, che non sono da considerarsi significativi poiché presentano un alto grado di incertezza”.


Questa è una buona notizia. Seguiranno studi approfonditi, ma sono state gettate le basi per iniziare una ricerca futura.


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 L'Italia insieme a Germania, Irlanda, Romania ed Olanda conquista il primato in Europa e nel mondo della sicurezza alimentare con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento) che sono risultati peraltro inferiori di cinque volte a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità).


 E' incoraggiante per i produttori agricoli italiani che vedono così premiato il loro impegno per garantire la qualità e la sicurezza alimentare ma preoccupa per la crescente flusso di importazioni di prodotti alimentari dall'estero, spesso a basso costo e con minori garanzie, favorito dalla crisi.
Come potete vedere dall’immagine sotto riportata, i pericoli maggiori vengono dai paesi asiatici.

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La agricoltura biologica (organic) come previsto continua ad essere quella con meno residui finali.



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L’Italia è tra i produttori di cibo meno contaminato in Ue e nel mondo… ma è anche importatore !!!


  Allacciamoci al


Rapporto sulle agromafie Coldiretti/Eurispes del 2011.

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Circa un terzo (33 per cento) della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, per un valore di 51 miliardi di euro di fatturato, deriva da materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio made in Italy, in quanto la legislazione lo consente, nonostante in realtà esse possano provenire da qualsiasi punto del pianeta.
Nel 2009 sono stati importate 30 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari, con un aumento del 50 per cento negli ultimi 15 anni. Numerosi sono gli elementi che destano curiosità e preoccupazione che emergono dalle analisi sul commercio estero nel 2009 rese note per la prima volta nel rapporto Coldiretti/Eurispes:


  • sono state importate in Italia 161.215 tonnellate di pomodori preparati o conservati di cui: il 52,9 per cento proviene dalla Cina, destinate per il 98,6 per cento del totale alla sola provincia di Salerno, patria del mitico San Marzano;
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  • l’Italia ha importato dall’estero circa 70.500 tonnellate di vini di uve fresche, per la quasi totalità provenienti dagli Stati Uniti e solo marginalmente dalla Repubblica Sudafricana, Cile e altri paesi, destinati per il 94,8 per cento alla provincia di Cuneo, nota nel mondo per i grandi rossi Made in Italy;
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  • Sono state importate 4.983 tonnellate carne suina proveniente per il 91% dal Cile e destinato per l’87,4 per cento alle sole province di Milano e Modena (dove, come è noto, si confezionano prosciutti “italiani”.
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Secondo una analisi della Coldiretti viene dall'estero ben il 40 per cento del frumento duro utilizzato per produrre la pasta, il 60 per cento il frumento tenero per produrre il pane, il 40 per cento della carne bovina, il 35 per cento della carne suina da consumare fresca o da trasformare in salumi e prosciutti e il 45 per cento del latte per prodotti lattiero caseari. Tra l'altro nel 2012 - precisa la Coldiretti - sono stati importati dalla Cina oltre 80 milioni di chili di pomodori conservati destinati con la rilavorazione industriale a trasformarsi magicamente in prodotti Made in Italy.
Una situazione resa possibile dalla mancanza di trasparenza nell'informazione dovuta ai ritardi accumulati nell'introdurre l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza degli alimenti.
Ad oggi - denuncia la Coldiretti - è obbligatorio indicare l'origine in etichetta per la carne bovina ma non per quella di cavallo, agnello, coniglio o maiale fresco o trasformato in salumi, per il latte fresco ma non per quello a lunga conservazione o i formaggi, per la passata di pomodoro ma non per le il concentrato o i sughi pronti, per la frutta fresca ma non per quella conservata o per i succhi, ne tantomeno per il grano impiegato nella pasta.






















giovedì 21 marzo 2013

Coca Cola censurato lo spot “Ceniamo insieme” su richiesta de: < il fatto alimentare >

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Ecco il video :

Video Ceniamo Insieme

 

Commento

  1. Bere Coca Cola rende felici ?

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  1. Se Simone Rugiati è effettivamente chef, allora sarebbe il caso che qualcuno lo retrocedesse a lavapiatti. E’ vergognoso lucrare a scapito della salute altrui……

 

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sabato 16 marzo 2013

Bisfenolo A: discussione al parlamento europeo

 
IL PROBLEMA E’ PRESO IN CONSIDERAZIONE
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(in foto il bisfenolo A)

Segue da precedente: I perturbatori endocrini


Negli ultimi 20 anni i disordini legati al sistema endocrino - quello che regola la produzione degli ormoni - sono aumentati. Gli interferenti endocrini, ovvero quelle sostanze che alterano il normale funzionamento del sistema endocrino, fanno parte del nostro quotidiano: imballaggi alimentari, cosmetici, materiali per l'edilizia, apparecchiature elettroniche...
La relazione della deputata Åsa Westlund richiede la riduzione dell'uso di queste sostanze.
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Video intervento
 
"L'obiettivo della proposta del Parlamento è quello di trovare un nuovo modo di utilizzare gli interferenti endocrini. È venuto il tempo di un'azione politica chiara. Anche se non abbiamo tutte le risposte, ne sappiamo abbastanza per poter regolare queste sostanze seguendo le giuste misure cautelari" ha dichiarato la deputata socialista svedese Åsa Westlund, relatrice del parlamento europeo.

Quali sono le possibili conseguenze riconducibili agli interferenti endocrini?
La lista è lunga e le patologie sono in aumento: l'incremento dei potenziali disturbi riproduttivi, sotto forma di peggiore qualità dello sperma, cancro ai testicoli, pubertà precoce e malformazione degli organi genitali, ad esempio il criptorchidismo, ossia la mancata discesa dei testicoli nel sacco scrotale durante lo sviluppo del feto, e l'ipospadia, ossia l'apertura dell'uretra nella parte inferiore del pene.
Si assiste anche a un incremento delle malformazioni fetali, dei tumori e dei casi di diabete, e anche l'incidenza dei disturbi dello sviluppo neurologico, quali l'autismo e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).

Cosa propone il Parlamento Europeo?
Bisogna adottare rapidamente alcune misure per rafforzare la protezione dei gruppi maggiormente vulnerabili e limitare l'uso di interferenti endocrini in prodotti per la cura della pelle, prodotti tessili e giocattoli.
È inoltre fondamentale prevedere nella vigente legislazione europea test adeguati che consentano di individuare gli interferenti endocrini.

Le motivazioni
 
L'incremento dell'incidenza dei disturbi e delle patologie ormonali negli esseri umani deve essere preso molto seriamente. Il sistema endocrino regola gran parte di ciò che accade nel corpo umano, ivi compresa la riproduzione, il metabolismo, la crescita, l'equilibrio idrosalino e la funzione cardiaca. Si osserva una tendenza preoccupante, in particolare per quanto riguarda la capacità riproduttiva umana, laddove gli interferenti endocrini sono considerati uno dei fattori aggravanti.
Uno dei capisaldi della politica dell'UE in materia di sostanze chimiche è, e deve rimanere, il principio di precauzione. Il fatto che le conoscenze siano incomplete non può costituire un pretesto per l'inazione, giacché sono troppo grandi i rischi di danni irreversibili agli esseri umani e all'ambiente.
Vi sono attualmente circa 27000 rapporti di ricerca sugli interferenti endocrini e i loro effetti sugli esseri umani e sugli animali. È possibile osservare una serie di tendenze preoccupanti.

Negli ultimi vent'anni, si sono moltiplicate le prove del fatto che negli esseri umani sono in aumento i disturbi legati agli ormoni. La diagnosi e l'incidenza di una serie di patologie hanno fatto registrare un drastico aumento a livello globale. Particolarmente significativo è l'incremento dei potenziali disturbi riproduttivi, sotto forma di peggiore qualità dello sperma, cancro ai testicoli, pubertà precoce e malformazione degli organi genitali, ad esempio il criptorchidismo, ossia la mancata discesa dei testicoli nel sacco scrotale durante lo sviluppo del feto, e l'ipospadia, ossia l'apertura dell'uretra nella parte inferiore del pene. Si assiste anche a un incremento delle malformazioni fetali, dei tumori e dei casi di diabete, e anche l'incidenza dei disturbi dello sviluppo neurologico, quali l'autismo e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è in aumento. Nel Regno Unito, le diagnosi di cancro al seno sono quasi raddoppiate rispetto al 1980. Oggi si stima che una donna su nove si ammalerà di cancro al seno nel corso della vita. Un simile cambiamento può essere spiegato soltanto da fattori ambientali esterni.

I nostri geni non sono cambiati così tanto in un periodo tanto breve. Di conseguenza, l'incremento di tali patologie deve essere spiegato da fattori esterni. Questa influenza esterna ha origini diverse, quali ad esempio fattori legati allo stile di vita, agli alimenti e alla nutrizione, agli agenti patogeni, ai farmaci, alle droghe, nonché fattori economici e sociali, come ad esempio lo stress. Studi approfonditi dimostrano inoltre che l'esposizione alle sostanze chimiche è un fattore aggravante. È anche possibile che vi sia una correlazione tra tutti questi fattori, ad esempio il cibo e lo stress possono influenzare il grado di recettività del corpo ad altri fattori.
La tutela della salute umana costituisce un elemento importante della politica dell'UE (articolo 35 del trattato). Onde conseguire tale obiettivo, è importante garantire la piena applicazione del principio di precauzione (articolo 191 del trattato).
Gli interferenti endocrini ambientali sono dunque uno dei fattori che influenzano questo sviluppo preoccupante. Tuttavia, è impossibile determinare con precisione come un particolare interferente endocrino causi una certa patologia. E questo per una serie di motivi:

–    il lungo intervallo di tempo che può trascorrere tra l'esposizione e la comparsa dell'effetto, verosimilmente vari decenni o generazioni;

–    il rischio di effetti avversi varia in termini di grandezza nelle varie fasi dello sviluppo. Le finestre critiche, ad esempio durante lo sviluppo fetale, possono essere molto brevi;

–    nel corso della vita, gli essere umani sono esposti a un vasto numero di prodotti chimici in composti complessi;

–    gli interferenti endocrini possono interagire fra di loro e con gli stessi ormoni del corpo;
 
–    gli interferenti endocrini possono agire a concentrazioni estremamente ridotte e possono avere un effetto maggiore a un dosaggio basso rispetto a uno alto. Laddove la relazione dose-risposta non è monotona aumenta ulteriormente la difficoltà predittiva;
–    la nostra conoscenza del sistema endocrino umano e animale è ancora limitata.
Gli interferenti endocrini si trovano ovunque nel nostro quotidiano: negli imballaggi alimentari, nei prodotti per la cura della pelle, nei cosmetici, nei materiali per l'edilizia, nelle apparecchiature elettroniche, nei mobili e nei pavimenti. Molti prodotti in plastica presenti nelle nostre case e sui nostri luoghi di lavoro contengono una o più sostanze chimiche che si sospetta interferiscano con il sistema endocrino. Per i singoli consumatori è impossibile sapere quali sostanze siano presenti in quali prodotti, in particolare per quei prodotti per i quali non è obbligatorio dichiarare il contenuto.
 
Gli interferenti endocrini sono rilasciati da materiali e prodotti e si accumulano, ad esempio, nella polvere nelle nostre case. Di conseguenza, i bambini piccoli che gattonano sul pavimento e che, fra le altre cose, amano anche portarsi oggetti alla bocca corrono un particolare rischio di esposizione. Ciò è estremamente preoccupante giacché i bambini sono particolarmente esposti agli effetti di queste sostanze.

Le sostanze che si sospetta abbiano proprietà di interferenza endocrina sono numerose e diffuse, il che significa che è impossibile per il singolo consumatore proteggersi. La quantità e la diffusione di queste sostanze rende impossibile anche proteggere le categorie più vulnerabili, in particolare i feti e i bambini di tutte le età, fino all'età adulta. I bambini, i giovani e le donne in età fertile sono gruppi costituiti da individui che si sviluppano rapidamente, per i quali è fondamentale un corretto equilibrio ormonale. Di conseguenza, necessitano di speciale protezione dall'esposizione agli interferenti endocrini. La società deve essere sufficientemente sicura anche per i suoi membri più vulnerabili.
È possibile adottare rapidamente alcune misure per rafforzare la protezione dei gruppi maggiormente vulnerabili. Occorre innanzitutto limitare l'uso di interferenti endocrini in prodotti destinati a specifici gruppi bersaglio, quali prodotti per la cura della pelle, prodotti tessili e giocattoli destinati a un uso specifico. Potrebbero inoltre essere rafforzati i criteri in materia di sicurezza riguardanti la costruzione e il mobilio degli asili, delle scuole e di altri edifici che accolgono i bambini per periodi prolungati. Tuttavia, dal momento che i bambini, i giovani e, in particolare, le donne in età fertile costituiscono una parte integrante e vasta della popolazione, è necessario proteggere tutta la popolazione nel suo insieme.
È fondamentale prevedere nella vigente legislazione europea test adeguati che consentano di individuare gli interferenti endocrini, in particolare nel regolamento relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio (CLP), nel regolamento REACH, nei regolamenti relativi ai prodotti fitosanitari (PPPR), nella direttiva relativa all'immissione sul mercato dei biocidi e nella direttiva sui cosmetici.
Occorre elaborare criteri per stabilire in che modo l'interpretazione di questi test, unitamente ad altre ricerche pertinenti, possa trasformarsi in misure legislative concrete. Poiché si ritiene che gli interferenti endocrini influenzino gli esseri umani e l'ambiente a concentrazioni molto basse e, di conseguenza, è impossibile fissare livelli di esposizione sicuri, il principale approccio nell'ambito di REACH deve essere la limitazione dell'autorizzazione sulla base di criteri socioeconomici, unitamente a piani di sostituzione. Lo sviluppo di criteri e requisiti in materia di sperimentazione deve essere disciplinato dal principio di precauzione. È importante che i criteri e la metodologia che consentono di stabilire se una sostanza interferisce con il sistema endocrino siano il più trasparenti possibili.
La Commissione deve anche prendere l'iniziativa di rivedere e sviluppare tutta la legislazione pertinente, onde tener conto dei rischi di interferenza endocrina. È necessaria una revisione dei vari testi legislativi più approfondita di quanto finora annunciato o di quanto richiesto ai sensi dei singoli atti.
Gran parte del dibattito sugli interferenti endocrini riguarda prodotti e sostanze presenti nei cosmetici, nei mobili, negli apparati elettronici, nei prodotti per l'edilizia, nei giocattoli, nei prodotti tessili e negli alimenti, inclusi gli imballaggi. È pertanto importante che la Commissione riveda le normative esistenti e proponga nuovi testi legislativi in questi settori, al fine di proteggere le persone dalle sostanze con proprietà di interferenza endocrina.
È particolarmente importante che vi siano requisiti riguardanti le sostanze chimiche per le categorie di prodotti con cui vengono a contatto i bambini. I prodotti tessili rappresentano una delle categorie per le quali attualmente non esistono norme distinte, malgrado i bambini piccoli spesso mettano in bocca i tessuti e nonostante i prodotti tessili vengano a contatto con la nostra cute. Per tale ragione si propone lo sviluppo di normative specifiche sulle sostanze chimiche che riguardino i prodotti tessili.

I punti salienti della relazione, secondo me sono :

1.  ritiene, sulla base di una valutazione globale delle conoscenze disponibili, che il principio di precauzione, conformemente all'articolo 192, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), imponga alla Commissione e ai legislatori di adottare misure adeguate che consentano di ridurre, ove necessario, l'esposizione umana a breve e lungo termine agli interferenti endocrini, intensificando nel contempo lo sforzo di ricerca per migliorare lo stato delle conoscenze scientifiche sugli effetti degli interferenti endocrini sulla salute umana;
2.  sottolinea che il principio di precauzione si applica in un ambiente di incertezza scientifica, nel quale un rischio può essere caratterizzato solo sulla base di conoscenze imperfette, non immutabili né indiscutibili, ma nel quale è necessario agire per evitare o ridurre conseguenze potenzialmente gravi o irreversibili per la salute umana e/o l'ambiente;
3.  ritiene che sia necessario attuare misure intese a proteggere la salute umana quando si possano ragionevolmente supporre gli effetti avversi di determinate sostanze con proprietà di interferenza endocrina; sottolinea inoltre, dati gli effetti dannosi o irreversibili che possono essere causati dalle sostanze con proprietà di interferenza endocrina, che l'assenza di conoscenze precise, comprese le prove che confermano l'esistenza di nessi causali, non dovrebbe impedire che si adottino misure di protezione della salute conformemente al principio di precauzione e nel rispetto del principio di proporzionalità;
4.  ritiene fondamentale proteggere le donne dai rischi potenziali degli interferenti endocrini per la loro salute riproduttiva; invita pertanto la Commissione ad accordare priorità al finanziamento della ricerca per studiare gli effetti degli interferenti ormonali sulla salute delle donne e a sostenere studi a lungo termine per monitorare la salute delle donne durante lunghi periodi della loro vita, al fine di permettere una valutazione suffragata da dati comprovati degli effetti a lungo termine e su generazioni diverse derivanti dall'esposizione agli interferenti endocrini;

22. invita la Commissione, nell'ambito dell'attuale revisione della strategia comunitaria del 1999 in materia di sostanze che alterano il sistema endocrino, a effettuare un esame sistematico di tutte le normative vigenti in materia e, se del caso, a modificare, entro il 1° giugno 2015, la normativa esistente o presentare nuove proposte legislative, comprese valutazioni dei rischi e dei pericoli, in modo da ridurre, ove opportuno, l'esposizione umana – in particolare dei gruppi vulnerabili come le donne incinte, i neonati, i bambini e gli adolescenti – agli interferenti endocrini;
25. sottolinea che attualmente non esistono basi scientifiche sufficienti per fissare un valore limite sotto il quale non si manifestano effetti avversi per cui gli interferenti endocrini dovrebbero essere considerati sostanze senza "senza soglia", e che qualsiasi esposizione a tali sostanze può comportare un rischio, a meno che il produttore non possa dimostrare scientificamente l'esistenza di una soglia, tenendo conto della maggiore sensibilità durante le finestre critiche dello sviluppo e degli effetti delle miscele.
Esito votazione Cattura untitled
Mozione approvata 23/01/2013
Asa, grazie per l’impegno !!


tratto da:Cattura







Aggiornamento Febbraio 2014 :





http://grillipediatria.blogspot.it/2014/02/abbassamento-dose-minima-bisfenolo-un.html







































giovedì 14 marzo 2013

Quale veleno bolle in pentola?

DALL'INDIA ARRIVANO LE PADELLE RADIOATTIVE, MA ANCHE QUELLE IN ACCIAIO E LE ANTIADERENTI POSSONO MINARE LA SALUTE. LA PRIMA REGOLA: NIENTE GRAFFI

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Con il senno di poi, il fatto che quelle pentole e posate arrivassero dall'India qualche dubbio avrebbe dovuto farlo venire. Chissà da dove proveniva l'acciaio con cui erano realizzate, o forse lo si poteva immaginare visto che proprio le coste dell' India sono l'ultima destinazione di molte navi da "rottamare".
 
Seppure riciclato, che fosse acciaio radioattivo era difficile da credere.
Le analisi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale di Foggia hanno rilevato la presenza di cobalto 60, una sostanza radioattiva potenzialmente pericolosa per l'uomo. Così è partita una corsa contro il tempo per rintracciare quelle pentole che erano già finite sugli scaffali di negozi in Italia, Malta e Montenegro. Nessuna truffa: le pentole erano state importate da un'azienda di Taranto; arrivate in Italia il 21 dicembre, con tutti i documenti in regola, era stato concesso il nullaosta alla vendita.
Tutto si poteva immaginare tranne che il 1° febbraio i risultati delle analisi di routine indicassero la presenza di pericolose tracce di cobalto 60. Che, durante la cottura, sarebbe potuto "migrare" nel cibo. Assorbito da fegato, reni e ossa può provocare diversi tipi di cancro.
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Insomma, non si può più essere sicuri neppure di fronte a una tradizionale padella in acciaio? In effetti, le raccomandazioni del ministero della Salute e dell'Istituto superiore di Sanità invitano a più di una precauzione. «La migrazione eccessiva di nichel nel cibo può causare reazioni allergiche», fanno sapere dalla Direzione igiene e sicurezza degli alimenti e della nutrizione del ministero. Non solo. Seppure assai resistenti, anche per pentole e padelle in acciaio valgono le precauzioni comuni a tutti gli utensili di cucina: «Si deve evitare di graffiarne la superficie o pulirle con spugnette molto abrasive, perché in corrispondenza dei graffi si possono annidare residui alimentari che carbonizzando alla fiamma possono produrre sostanze pericolose per la salute». Insomma, prendersi cura della padella, di qualunque materiale sia fatta, vuoi dire prendersi cura della propria salute. «In realtà, una buona prevenzione la otteniamo già seguendo i vecchi consigli», tranquillizza Maria Rosaria Milana, a capo del reparto Esposizione e rischio da materiali dell' Istituto superiore sanità.
untitled6Tutte le nonne sanno che si può cuocere ma non bisogna conservare il cibo nelle pentole in alluminio, anche se sono assai amate dai cuochi. Parecchi alimenti, infatti, sono in grado di attaccare l'alluminio stesso e favorirne la migrazione nel cibo: la sua ingestione è messa in relazione con l'insorgere di problemi neurologici.
 
untitled1Già, ma le nonne non possono venirci in aiuto con le pentole dell'ultima generazione, prime fra tutte le antiaderenti. «Sono realizzate rivestendo una base metallica con un sottile strato plastico», spiega Maria Rosaria Milana. Non andrebbero mai utilizzate come bistecchiere o lasciate sul fuoco a lungo senza del grasso o dell'acqua. «La superficie metallica scaldandosi danneggia la parte plastica che può rilasciare sostanze tossiche negli alimenti», aggiunge ancora la dirigente dell' ISS. Non a caso, infatti, dal 2015 il Pfoa (l'acido perfluoroottanoico), utilizzato nel processo di realizzazione del rivestimento e dichiarato tossico nel 2006, non dovrà più essere usato. "Anche se la data è ancora lontana, alcune aziende hanno già iniziato a eliminarlo", scrive Altroconsumo, il mensile dell'omonima associazione consumatori. "Tuttavia, gli alimenti che abbiamo cucinato con le pentole dei nostri test non presentano tracce di questa sostanza, anche per i modelli che non dichiarano l'assenza di Pfoa".
untitled2Una soluzione per mettersi al riparo comunque potrebbe essere affidarsi a pentole con rivestimento in ceramica. In questo caso, lo strato in plastica è sostituito da uno in ceramica "tecnica". «È un rivestimento più resistente alle alte temperature, rispetto alle antiaderenti tradizionali e sembrano più resistenti alle lesioni», spiega Maria Rosaria Milana. Che però avverte: «Manca una ricerca sistematica sui possibili rischi di contaminazione del cibo, ma fino a oggi nessun laboratorio ha evidenziato questo pericolo».
images4E se invece, tornando ai consigli delle nonne, scegliessimo di cucinare solo con pentole in ghisa, rame o addirittura in pietra? Le pentole in rame sono ritenute tra le migliori per la cucina, ma sono tra le più pericolose per la salute, soprattutto se il rivestimento di stagno è rovinato. «Valgono i vecchi consigli: quando vedi la pentola ossidata o con danni e graffi evidenti, bisogna cambiarla».
 
 
ACCIAIO INOX: sono le padelle più diffuse, resistenti anche ai graffi, ma possono rilasciare nichel.

VETRO ATERMICO: non rilasciano alcuna sostanza nel cibo, ma sono poco adatte alla cottura sui fornelli.

TERRACOTTA: garantiscono una cottura uniforme, ma se scalfite possono rilasciare sostanze tossiche.

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TITANIO: sono le migliori antiaderenti, praticamente indistruttibili.
 
 
 
 
Fonte: Europass (Europass è un ufficio che si occupa dei rapporti fra l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA)  e le Istituzioni.- rassegna stampa- 10 marzo 2013





lunedì 11 marzo 2013

Dermatite Atopica : Colpa dell'inquinamento?

A Montecarlo il convegno internazionale “L’eccellenza incontra l’eccellenza”
DERMATITE ATOPICA PEDIATRICA, BOOM DI CASI
IN EUROPA COLPITO IL 43% DEI BAMBINI SOTTO I 5 ANNI
IL PEDIATRA: “COLPA DELL’INQUINAMENTO”




Secondo gli ultimi dati internazionali sono triplicati i casi negli ultimi 20 anni soprattutto nelle aree industrializzate dove gli ambienti insalubri sono maggiori. Ma attenzione anche all’alimentazione, i cui rischi nutrizionali sono identificabili con un test specifico, il ‘NutricheQ’, appositamente studiato sulla dieta del bambino tra 1 e 3 anni dalla Scuola U-tre della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP)

Montecarlo, 9 Marzo 2013 – Sotto i 5 anni la dermatite atopica colpisce quasi un bambino su due. Le cause possono essere varie – abitudini alimentari, l’assunzione di farmaci, abitudini voluttuarie o lavorative in caso degli adulti – ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) valuta che circa un terzo delle malattie infantili dalla nascita a 18 anni nella Regione Europea possa essere attribuibile all’ambiente insalubre o insicuro che tende a gravare specie sui bambini al di sotto dei 5 anni, con picchi del 43%. Un vero allarme, se si considera che la prevalenza è più che raddoppiata nelle ultime tre decadi, triplicata nelle aree industrializzate, tanto che la dermatite atopica è ormai la più diffusa fra le affezioni cutanee in età pediatrica. Con essa sono schizzati ai massimi livelli anche i ‘costi di gestione’ socio-economici. Una recente indagine condotta negli Stati Uniti (dove la dermatite atopica è stata maggiormente studiata) stima infatti che pesi sulle famiglie con una spesa variabile da meno di 100 dollari a più di 2000 dollari per paziente all’anno per un ammontare totale di quasi 1 miliardo di dollari di costi diretti. Pur di fronte ad una diagnosi semplice, effettuabile con un esame clinico, senza analisi di laboratorio o l’esecuzione di prove allergiche, poche o pressoché nulle sono le terapie risolutive, a causa dell’origine costituzionale e geneticamente determinata della malattia (non vi è una motivazione specifica) che la rendono però particolarmente sensibile a fattori ambientali, quali, appunto l’inquinamento. Ma fanno la loro parte anche forti escursioni climatiche, vento, pioggia, umidità, polveri, allergie alimentari o carenze e rischi nutrizionali. Questi ultimi sono rilevabili con ‘NutricheQ’, un test appositamente studiato sulla dieta del bambino tra 1 e 3 anni dalla Scuola U-tre della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), che deve essere compilato dai genitori per aiutare il pediatra a individuare coloro che potrebbero avere bisogno di maggiore supporto o informazioni in merito agli aspetti legati alla nutrizione del bambino. adatto anche come strumento preventivo per la fascia d’età successiva. Di questo si è parlato oggi ad un incontro internazionale di Montecarlo, “L’eccellenza incontra l’eccellenza”, organizzato dalla Federazione Italiana dei Medici Pediatri.

“La dermatite atopica – dichiara il Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), Giuseppe Mele – è la più diffusa delle malattie dermatologiche in età pediatrica ed è provocata principalmente da fattori genetici. Questo significa che se un genitore ha una manifestazione atopica nel 60% dei casi potrà esserne affetto anche il figlio, percentuale che aumenta fino all’80% se entrambi i genitori hanno la patologia, mentre in una famiglia non atopica la probabilità che ne venga colpito il bambino è di circa il 20%”.
“Sono moltissimi i bambini affetti da malattie della pelle – spiega Giuseppe Ruggiero, Referente Nazionale della Rete Dermatologica della FIMP – di cui non è possibile dare una stima esatta. Ciò che invece è possibile affermare è che queste patologie sono in costante aumento, tanto che oggi il 20-30% delle visite che ogni pediatra esegue nel proprio ambulatorio riguarda anche problemi dermatologici, con una maggior prevalenza di dermatite atopica. Le cause che ingenerano le malattie della pelle possono essere varie – abitudini alimentari, l’assunzione di farmaci, abitudini voluttuarie o lavorative in caso degli adulti – ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) valuta che:

 circa un terzo delle malattie infantili dalla nascita a 18 anni nella Regione Europea possa essere attribuibile all’ambiente insalubre o insicuro che tende a gravare specie sui bambini al di sotto dei 5 anni, con picchi fino al 43%.


 La ragione di una percentuale così elevata va ricercata in 3 ordini di fattori: 

1) una maggiore suscettibilità del bambino, poiché gli organi e i sistemi in rapida crescita attraversano periodi di elevata vulnerabilità; 

2) il metabolismo ancora immaturo che può essere meno capace di detossificare ed espellere le sostanze chimiche; 

3) la maggiore esposizione per unità di peso corporeo ai danni ambientali (i bambini bevono più acqua, utilizzano più alimenti degli adulti e hanno una frequenza respiratoria maggiore con un più elevato scambio di gas”.


 “Per meglio controllare l’evoluzione della dermatite atopica – aggiunge il presidente Mele – diventa dunque estremamente importante agire su quei fattori non correlati all’ambiente e che possono aiutare a prevenire o lenire i maggiori disturbi, rappresentati da prurito, eczemi, secchezza diffusa, perdita di compattezza e turgore, comedoni e punti neri, brufoli, specie nelle zone a maggior rischio di dermatite quali le mani e il viso (più esposti) o le gambe e le ginocchia (maggiormente soggette allo sfregamento degli indumenti). Questo è possibile educando la mamma e/o i genitori ad acquisire comportamenti auto-gestionali corretti sia nel trattamento della patologia, con l’uso costante di creme emollienti per contrastare la secchezza cutanea o di prodotti antinfiammatori (cortisonici per uso topico) in caso di lesioni infiammatorie”,
Anche una alimentazione corretta, sana e bilanciata, ricca di frutta e verdure (per assumere vitamine e sali minerali), pesce, grassi di origine vegetale, fibre e cereali, arricchita da un buon apporto di acqua e da un limitato consumo di bevande zuccherate e cibi troppo raffinati diventa particolarmente importante in inverno quando la pelle è privata dei benefici del sole e la dieta è più ricca di carboidrati e grassi. “In questa direzione – conclude Il dr. Mele – è importante il nostro test di screening, ‘NutricheQ’, nato da un progetto della nostra scuola U-TRE (acronimo di “Uno-TRE” anni). Redatto sotto forma di questionario per i genitori, il test – integrato da una serie di guide che possono essere fornite ai genitori per ogni fattore di rischio individuato – aiuta il pediatria a individuare coloro che potrebbero necessitare di maggiore supporto o informazioni in merito a determinati aspetti della nutrizione del bambino.


FIMP - Federazione Italiana Medici Pediatri - Via Parigi 11 scala A int. 105 - 00185 Roma
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mercoledì 6 marzo 2013

Adulti più aggressivi ed asociali con troppa tv da piccoli




Roma, 20 feb.2013 (Adnkronos Salute) -
La televisione crea mostri, o quasi. Ogni ora di visione serale, se quotidiana e costante, aumenta di circa il 30% il rischio di incorrere in una condanna in tribunale. E' la scioccante conclusione di uno studio neozelandese che ha dimostrato come i bambini che passano molte ore davanti alle tv hanno più rischi degli altri di avere comportamenti antisociali nell'età adulta. Lo studio, coordinato da Bob Hancox dell'università di Otago e pubblicato su Pediatrics, è stato realizzato su un migliaio di persone nate tra il 1972 e il 1973 e osservate per 10 anni, dai 5 ai 15 anni, rispetto alle ore passate davanti al piccolo schermo. A 26 anni, poi, è stata fatta la verifica sugli adulti che ha rivelato un forte legame tra il tempo dedicato alla televisione e atteggiamenti socialmente difficili.

 
Una relazione che resta elevata anche tenendo conto di altri parametri come, ad esempio, l'estrazione sociale del bambino. Secondo i ricercatori i comportamenti appresi attraverso i programmi televisivi portano ad una perdita di sensibilità affettiva e fanno sviluppare comportamenti aggressivi.







 Ma non è solo il contenuto dei programmi a contare. C'è anche la situazione di isolamento e passività, protratta per ore al posto di una sana interazione con coetanei e adulti. Lo ricerca, sul lungo termine, è stata realizzata in anni in cui la televisione era l'unico schermo utilizzato dai bambini. Ora, però, spiegano i ricercatori, serviranno altri studi per capire l'impatto anche delle altre tecnologie.
"Noi non diciamo - spiega Bob Hancox - che la televisione sia la causa di tutti i comportamenti antisociali, ma i nostri dati suggeriscono che ridurre i tempi dedicati alla televisione potrebbe aiutare a ridurre molti problemi sociali legati a comportamenti individuali".




domenica 3 marzo 2013

Miele di Manuka per le infezioni ricorrenti nei bambini?

 

Il Miele

Già gli antichi egizi ne apprezzavano le qualità:

 

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Come tutti i cosiddetti prodotti dell'alveare (propoli, polline, pappa reale), ogni tipo di miele,  possiede caratteristiche particolari a seconda del luogo di provenienza. In particolare, ne è nota da sempre l'attività antibatterica. Nel miele infatti è contenuto un enzima secreto dalle api, la glucosio-ossidasi, che produce perossido d'idrogeno (più noto come acqua ossigenata), che ha azione disinfettante, ovvero germicida. Ma sicuramente anche altre delle tantissime sostanze presenti naturalmente nel miele, molte delle quali ancora poco note, sono corresponsabili dei suoi effetti e rendono questo un prodotto unico,.

Esiste tuttavia un miele ancora più interessante degli altri. 

Il miele di manuka

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Il miele di Manuka si è dimostrato un buon antibiotico…ma naturale.
 
Da: La Stampa.it    02.02.2012
 
<<“” L’utilizzo del miele si è rivelato efficace contro lo Streptococcus pyogenes e i batteri che causano infezioni croniche in ferite che non guariscono. Lo studio che ne conferma l’attività antibiotica. Ci sono ferite o lesioni della pelle che guariscono in fretta; altre che fanno fatica o che non riescono proprio a guarire. In questo casi spesso si ricorre agli antibiotici che, tuttavia, non sono esenti da effetti indesiderati come, per esempio, la resistenza.

Poter dunque contare su un rimedio che possa essere efficace e al tempo privo di effetti collaterali potrebbe di certo essere la soluzione migliore. E, a quanto sembra, questa soluzione potrebbe trovarsi in un prodotto naturale come il miele – quello di Manuka, per la precisione.
Ad aver sperimentato l’efficacia di questo miele nel trattare lo Streptococcus pyogenes – un batterio che si trova normalmente nella pelle normale, il quale è però spesso associato alle lesioni croniche, che non guariscono – sono stati i ricercatori della Cardiff Metropolitan University (Uk) che hanno scoperto come il miele di Manuka fosse in grado di distruggere il biofilm creato dai batteri.
Il biofilm che si forma a seguito dell’aggregazione da parte dei batteri che infettano le ferite è il principale ostacolo alla guarigione poiché forma una barriera in grado di ostacolare l’azione dei farmaci, trasformando la lesione cutanea in una infezione cronica. Riuscire dunque a disgregare questo biofilm è il primo passo per poter curare la lesione o ferita.
Il miele di Manuka si è così dimostrato attivo nel distruggere questa barriera anche quando del tutto formata e, in più, ha impedito ai batteri di iniziare a legarsi ai costruenti del tessuto della ferita.

Leptospermum
 
Da tempo sono riconosciute le proprietà antibatteriche di questo tipo di miele che viene prodotto dalle api che raccolgono il nettare dall’arbusto  di Manuka che cresce spontaneo in Nuova Zelanda e Australia.
 
 
 
 
 
 
Si ritiene sia attivo contro oltre 80 specie di batteri, sebbene gli scienziati abbiano ancora del tutto compreso il suo meccanismo di azione. Qualcosa in più tuttavia ora si sa, e questo grazie alla dottoressa Sarah Maddocks, che ha coordinato questo nuovo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Microbiology.
«Le molecole sulla superficie dei batteri si attaccano alla fibronectina umana, ancorando i batteri alla cella. In questo modo l’infezione avanza e il biofilm si sviluppa – spiega Maddocks – Abbiamo scoperto che il miele ha ridotto l’espressione di queste proteine di superficie dei batteri, inibendo il legame alla fibronectina umana, rendendo meno probabile la formazione del biofilm. Si tratta di un meccanismo realizzabile mediante il quale il miele di manuka minimizza l'avvio di infezioni della ferita acuta e anche l’instaurarsi di infezioni croniche».
I risultati incoraggianti hanno fatto sì che i ricercatori puntassero l’attenzione anche al trattamento dell’infezione causata da altri tipi di batteri come lo Pseudomonas aeruginosa e lo Staphylococcus aureus meticillina-resistente (MRSA). Se anche questi test confermeranno l’attività antimicrobica del miele, si aprono nuove prospettive nella cura in modo naturale delle lesioni e ferite, sia acute che croniche.””>>

Solo per la cura di ferite?
 
da  Cattura28.02.2013
 
IL MIELE DI MANUKA CONTRASTEREBBE L’AVANZARE DEI TUMORI
 
Il miele di Manuka sarebbe capace di bloccare l'avanzare delle cellule cancerose, impendendo il loro proliferare. E' l'ipotesi valutata da una ricerca dell'Università degli Emirati Arabi Uniti diretta dal dottor Basel Al Ramadi e pubblicata su PloS One. Gli scienziati hanno messo sotto esame il miele per le sue note proprietà curative, cicatrizzanti e antibatteriche. Così, durante 5 anni di test, i ricercatori hanno impiegato l'alimento su tumori umani ed animali, valutandone i risultati. Primo dato ad emergere, la validità a dosi ridotte: il miele di Manuka attaccava la massa tumorale già a basse dosi (0,6% di concentrazione) rallentandone la crescita. Forse più importante, l'abilità del miele di provocare apoptosi (la morte delle cellule) della massa tumorale, senza intaccare le cellule sane. Infine, Al Ramadi e colleghi ritengono che il miele di Manuka possa agire in tandem con la chemioterapia convenzionale, potenziando i danni al tumore e riducendo gli effetti collaterali per la persona. Per questo, sono in corso ricerche di approfondimento.
 
http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0055993
 
Altro?

Il miele di manuka al di là della semplice azione antisettica dovuta al perossido di idrogeno, questo miele neozelandese contiene ulteriori sostanze antibatteriche in quantità elevate. La sua accentuata attività antibiotica è dovuta all'azione combinata di un principio attivo chiamato metilgliossale (MGO, forse più noto anche in Italia con il suo nome inglese methylglyoxal) e di altri, sinergici, ancora non perfettamente identificati.

Nel miele di manuka non solo è molto alta la quantità di metilgliossale, ma la presenza delle sostanze sinergiche incrementa di oltre il doppio l'efficacia antisettica del metilgliossale.

Non tutto il miele di manuka presenta tuttavia quantità significative di MGO e ha di conseguenza questo tipo di attività antibatterica aggiuntiva particolarmente interessante e non dovuta al perossido d'idrogeno.

Quello che la possiede viene denominato “miele di manuka attivo” o “miele di manuka UMF” (Unique Manuka Factor) e riporta in etichetta la quantità di MGO che contiene, per distinguerlo dal miele di manuka che non ha queste proprietà.

 
 
La presenza del Metilgliossale – espressa in mg/ kg – deve essere dichiarata e certificata su ogni barattolo acquistato, come garanzia di assoluta qualità per il consumatore finale. Secondo il Professor Henle, la quantità minima di Metilgliossale affinché si verifichi una sicura attività antibatterica è di 100mg/kg.
 
 
Cattura
 
 
I dati raccolti dai ricercatori dimostrano l'utilità del miele di Manuka oltre che nel trattamento di ferite di varia origine, al fine di favorirne la cicatrizzazione e combattere la contaminazione batterica, anche come integratore alimentare in caso di gastrite e ulcera causata da Helicobacter pylori e nel trattamento delle infezioni del tratto oro-faringeo, quali per esempio faringiti, laringiti e tonsilliti.
 
 
 
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In rete si leggono molte esperienze positive avute con questo miele nel trattamento e prevenzione delle infezioni ricorrenti che si verificano puntualmente nei bambini al loro ingresso all’asilo.
 
 
 
 
 
 
In questo caso sopra i 2 anni di età viene somministrato da uno a due cucchiaini da caffè al giorno mezz’ora prima dei pasti.
 
 
Essendo miele, e quindi dolce e gradito anche ai bimbi, si utilizza anche per curare malattie quali il raffreddore, la tosse, il mal di gola, anche nel caso in cui il malato sia un bimbo piccolo.
 
 
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E’ un prodotto naturale, potrebbe fare da scudo contro i continui attacchi dall’ambiente esterno,  perché non provare?
 
 
 
Naturalmente va evitato in caso di diabete od allergie.