giovedì 31 ottobre 2013

Latti “di crescita”: “Nessun valore aggiunto rispetto a una dieta bilanciata”, afferma l’EFSA

 

 

 

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25 ottobre 2013

L’uso dei cosiddetti “latti di crescita”, afferma l’EFSA, non apporta alcun valore aggiunto rispetto a una dieta bilanciata nel soddisfare il fabbisogno nutrizionale dei bambini nella prima infanzia nell’Unione europea.

Gli esperti scientifici dell’EFSA non sono riusciti a individuare “alcun ruolo unico” degli alimenti per la prima infanzia (comunemente denominati “latti di crescita”) nella dieta dei bambini di età compresa tra uno e tre anni, concludendo che essi non sono più efficaci degli altri alimenti che costituiscono la dieta normale di tali bambini nell’apportare sostanze nutritive. I risultati sono contenuti nel parere scientifico dell’EFSA relativo al fabbisogno e ai livelli di assunzione attraverso la dieta di sostanze nutritive di lattanti e bambini nella prima infanzia nell’Unione europea, richiesto dalla Commissione europea.

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Negli ultimi anni è stato immesso in commercio negli Stati membri un numero crescente di bevande a base di latte e prodotti analoghi destinati ai bambini nella prima infanzia ed etichettati come “latte di crescita”, “latte per la prima infanzia” o con terminologia simile. Gli scienziati e le parti interessate hanno opinioni divergenti riguardo alla necessità di ricorrere a tali prodotti per soddisfare il fabbisogno nutrizionale dei bambini nella prima infanzia. A differenza degli alimenti per lattanti e degli alimenti di proseguimento, gli alimenti per i bambini nella prima infanzia non sono soggetti a specifiche norme europee, e la Commissione sta valutando se raccomandare disposizioni particolari per questi prodotti nella prossima legislazione.

Al gruppo di esperti scientifici sui prodotti dietetici, l’alimentazione e le allergie (NDA) dell’EFSA è stato anche chiesto di fornire consulenza sull’evoluzione delle esigenze alimentari nel corso dei primi tre anni di vita e di stabilire i livelli di sostanze nutritive a suo giudizio adeguati per la maggior parte dei lattanti e bambini nella prima infanzia sani e di peso normale. Per i lattanti fino ai sei mesi di età, gli esperti hanno basato i calcoli per la maggioranza delle sostanze nutritive sul contenuto nutrizionale del latte materno di donne sane e ben nutrite che non fanno uso di integratori alimentari. Per i lattanti di età compresa tra sei e 12 mesi e i bambini da uno a tre anni di età, hanno utilizzato i valori di riferimento fissati dal gruppo di esperti scientifici NDA negli ultimi anni, ad esempio quelli per energia, proteine, grassi e carboidrati, e hanno riesaminato i valori di riferimento fissati dal comitato scientifico dell’alimentazione umana nel 1993, alla luce delle raccomandazioni più recenti espresse da altri organismi scientifici o autorevoli. Il gruppo di esperti scientifici ha poi confrontato il fabbisogno medio o i livelli di assunzione adeguati con l’apporto abituale di sostanze nutritive dei lattanti e dei bambini nella prima infanzia a livello europeo.

Il gruppo di esperti scientifici ha riscontrato che i lattanti e i bambini nella prima infanzia hanno un elevato apporto di energia, proteine, sale e potassio, ma un basso apporto di fibre alimentari. L’apporto di proteine, sale, potassio e fibre alimentari non è a livelli tali da destare preoccupazione, ma l’apporto generalmente elevato di energia può contribuire a un indesiderato aumento del peso corporeo. Ha concluso, inoltre, che i livelli di assunzione di una serie di micronutrienti, tra cui calcio, magnesio e vitamina C, erano verosimilmente sufficienti a soddisfare i requisiti nutrizionali. Tuttavia, il consumo di acidi grassi omega-3, ferro, vitamina D e iodio (in alcuni Paesi europei) è basso fra i lattanti e i bambini nella prima infanzia.

Il gruppo di esperti scientifici sottolinea la necessità di prestare particolare attenzione ad assicurare un apporto adeguato di acidi grassi omega-3, ferro, vitamina D e iodio ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia che manifestano o sono a rischio di manifestare livelli inadeguati di queste sostanze nutritive. Gli alimenti arricchiti, inclusi gli alimenti per i bambini nella prima infanzia, rappresentano un modo per incrementare tali apporti; esistono, tuttavia, alternative efficienti, quali il latte vaccino arricchito, i cereali e gli alimenti a base di cereali arricchiti, gli integratori o la precoce introduzione di carne e pesce nell’alimentazione integrativa e il consumo regolare e continuato di tali alimenti.

A questo parere l’EFSA farà seguire un secondo parere, la cui pubblicazione è prevista nel 2014, che fornirà consulenza alla Commissione sulla composizione essenziale degli alimenti per bambini.

 

http://www.efsa.europa.eu/it/efsajournal/pub/3408.htm

Problemi frequenti con la dentizione

 

Intervenire tempestivamente (in caso di disagi come distacchi di attacchi ortodontici o di fili ortodontici che pungono le mucose) o precocemente, per problemi da intercettare e curare al più presto.

L’ortodonzia può rivestire criterio di urgenza, nel senso che può essere opportuno intervenire tempestivamente nel processo di crescita o nell’instaurarsi di abitudini viziate, e in questi casi si dice che è urgente correggere il processo di crescita oppure che è urgente intervenire sui comportamenti viziati che possono procurare disfunzioni e aggravare il quadro clinico.
Può essere opportuno intervenire tempestivamente in caso di disagi come distacchi di attacchi ortodontici o di fili ortodontici che pungono le mucose. Qualunque sia la situazione clinica che si presenta allo Specialista ci sarà sempre il tempo per i genitori di prendere una decisione ponderata e consapevole.
Per i disagi relativi a distacchi di attacchi o ad archi ortodontici che vanno a ledere le mucose è importante indirizzare il paziente allo Specialista o ad un odontoiatria e, nei casi in cui non si hanno punti di riferimento, sul territorio al Servizio Pubblico.

L’agenesia

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È un’anomalia di numero che comporta l’assenza congenita di uno o più elementi dentali.

Per individuare una agenesia bisogna effettuare una radiografia panoramica e procedere alla conta dei germi dentari.
Una agenesia può essere causata da traumi, da processi infettivi, da carenze nutrizionali, da patologie endocrine, può essere associata alla Sindrome di Down ed altre patologie dello sviluppo su base genetica.
Le agenesie singole sono più frequenti nell’incisivo laterale superiore, nel terzo molare inferiore, o nei secondi premolari superiori. Individuata precocemente l’agenesia è possibile preservare lo stato di salute del dente deciduo e gestire gli spazi in funzione di un equilibrio armonico tra i denti.

La carie dei denti da latte o decidui

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La carie è una malattia infettiva multifattoriale degenerativa che colpisce i tessuti duri del dente estendendosi in profondità e provocando una progressiva demineralizzazione e proteolisi.


Tre sono i fattori principali che possono concorrere allo sviluppo della carie: presenza di streptococco mutans, di lattobacilli e actinomiceti, l’anatomia dei denti o la loro parziale eruzione o l’affollamento che rendono più difficile la pulizia, il flusso salivare, il tipo di saliva  oltre all’igiene orale e l’alimentazione.

 

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Quando il Ph della saliva scende sotto il valore di 5,2 la saliva si impoverisce di calcio e fosfati e questo ambiente favorisce lo sviluppo dei processi cariosi. Più scende il Ph è più i batteri riescono a proliferare.
L’assunzione di farmaci o altre patologie possono favorire un ambiente acido e agevolare lo sviluppo dei processi cariosi. La collaborazione tra Pediatra e Ortodontista in questi casi è fondamentale perché la tempestività con la quale si portano all’osservazione certe situazioni cliniche (sindromi metaboliche ad esempio) permette di effettuare una adeguata profilassi.
Solitamente la carie non dà immediata sintomatologia dolorosa. Si può avvertire un fastidio o dolore agli stress termici ma quando il dente inizia a dolere significa che il processo carioso è già in fase avanzata ed è riuscito a raggiungere le strutture organiche del dente.
L’alimentazione riveste un ruolo importante: educare i bambini ad un ridotto consumo di zuccheri, evitare l’assunzione eccessiva di carboidrati raffinati in favore di frutta e verdura e contestualmente insegnare e stimolare una corretta e frequente igiene orale.

Le estrazioni precoci

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Alcuni genitori pensano che sia improprio sottoporre i propri figli a cure odontoiatriche in caso di dentizione decidua, in quanto investimento inutile dato che a breve i denti decidui lasciano il posto alla dentizione permanente.
Lo Specialista in Ortodonzia evita di sottoporre il bambino a trattamenti superflui perché effettua il bilancio costi-benefici ai fini del benessere per il piccolo paziente. In alcuni casi può essere opportuno intervenire con otturazione a salvaguardia dell’elemento dentale perché la sua presenza preserva spazi ed equilibrio, in alcuni casi si può evitare l’intervento a causa della mobilità dentale che lascia presumere la perdita a breve ed in altri casi ancora può rendersi necessaria un’estrazione dell’elemento deciduo cariato, sempre sulla base di un attento bilancio costi-benefici fatto da età, funzione, occlusione, ecc

Le fratture e i traumi

 

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I traumi possono essere diretti (quando la causa agisce direttamente sulle strutture che subiranno la lesione) oppure indiretti (quando la causa colpisce violentemente l’arcata mandibolare o mascellare e di conseguenza si verifica la lesione scheletrica o dei denti, o quando un oggetto improprio in bocca a seguito di una caduta può determinare la rottura dell’elemento dentale).
La direzione, la forma dell’oggetto oltre alla velocità di impatto determinano la gravità del traumatismo dentale. I picchi di maggiore frequenza sono tra 1 e 3 anni per la dentizione decidua e tra 8 e 11 anni per la dentatura permanente.
Spesso i traumi comportano lussazioni e/o sublussazioni. Sia per la dentizione decidua che per quella permanente i centrali superiori sono i denti maggiormente coinvolti nel trauma e circa il 10% dei traumi sono imputabili alla pratica sportiva.
La classificazione dei traumi dentali va da lussazione traumatica parziale o totale del dente a parodontite traumatica dei tessuti molli fino alla frattura dentaria.
La lussazione comporta: dolore spontaneo o alla palpazione, tumefazione delle parti molli, mobilità di grado variabile, impotenza funzionale. Nei piccoli pazienti può esserci anche uno spostamento vestibolare o linguale o mesiale o distale con intrusione dell’elemento in caso di sublussazione.
Un dente staccato è un caso urgente. La parola chiave qui è rapidità, ed è indicato anche evitare il panico. Se potete essere dal dentista entro un’ora e il dente “vive” ancora c’è un 90% di possibilità che, se il dentista entro due ore riesce ad impiantare di nuovo il dente, esso sia salvo.

Non conservate il dente in un ambiente secco, come un fazzoletto o un barattolo chiuso. L’ideale è mettere il dente staccato in soluzione fisiologica o nel latte.

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Non toccate la radice, prendetelo dalla corona. Potete pulire la bocca, eventualmente applicare un impacco, ma assolutamente non inserire un batuffolo d’ovatta nella cavità. In caso di frattura della corona avete 36 ore di tempo. Ma la cosa migliore è, anche in questo caso, prendere contatto il più rapidamente possibile con il dentista. È meglio non lasciar riposare un dente spezzato…

 

 

 

Le fratture possono essere coronali (orizzontali o oblique) e radicolari (apicali medie o cervicali) e possono portare a necrosi pulpare.
Nelle fratture coronali, conservando il frammento dentale in ambiente umido è possibile che si riutilizzi con tecnica adesiva.

 

Da "Schede ortodontiche" realizzate da ASIO per i Pediatri.

sabato 5 ottobre 2013

OMS : Nessuna correlazione tra vaccini ed autismo. Una credenza da sfatare.


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Settembre 2013
L’Oms ha appena pubblicato sul suo sito internet, che senza ombra di dubbio che non vi è nessuna evidenza o prova scientifica sulla relazione vaccini ed autismo ; anzi, tutti gli studi condotti finora escludono questo legame.
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Questions and answers about autism spectrum disorders (ASD)
Viene pubblicato sul sito:
 " I dati epidemiologici disponibili non mostrano nessuna evidenza di correlazione tra il vaccino trivalente per morbillo, parotite e rosolia (MPR) e l’autismo. Non ci sono nemmeno prove che suggeriscono che qualsiasi altro vaccino infantile può aumentare il rischio di disturbi dello spettro autistico. Inoltre, recenti prove commissionate dalla OMS hanno escluso ogni associazione con gli adiuvanti al mercurio (thiomersal) usati in alcune formulazioni".

Ancora poco si sa delle cause dell’autismo. "Le evidenze scientifiche - sottolinea il documento - suggeriscono che vari fattori, sia genetici che ambientali, possono influire sull’insorgere dei disordini dello spettro autistico influenzando lo sviluppo iniziale del cervello".
La scheda pubblicata riassume le ultime scoperte: la prevalenza di 62/10.000 e cioè di un caso ogni 160 bambini, e che nella metà dei casi la patologia provoca problemi cognitivi.
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Una prima diagnosi dell’autismo difficilmente può essere fatta nei primi 12 mesi di vita del bimbo, ma è di solito possibile dall’età di due anni. Tratti caratteristici dell’ insorgenza - viene spiegato nel sito - includono un ritardo nello sviluppo o la regressione temporanea in competenze linguistiche e sociali e ripetitivi modelli stereotipati di comportamento; sarebbe comunque più corretto parlare di ‘disordini dello spettro autistico’ per sottolineare che si tratta in realtà di una serie di malattie diverse.
L’ Organizzazione Mondiale della Sanità finalmente prende posizione in aperto contrasto con i molti gruppi di opinione non scientifici, ed in questo blog si coglie l’occasione per ribadire l’importanza della vaccinazione come valida prevenzione a molte malattie.
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mercoledì 29 maggio 2013

Il raffreddore dei neonati? Chi lo ha visto?

 

 

Pubblico sul mio blog un articolo comparso sulla rivista “Un Pediatra Per Amico” (http://www.uppa.it/index.php) a riguardo della somministrazione quasi quotidiana di soluzione fisiologica nel nasino dei piccoli neonati.

Un articolo che sicuramente farà riflettere.

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Ma lui cosa ne pensa ??

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Con l’occasione ringrazio il direttore Dr Vincenzo Calia della gentile concessione.

sabato 25 maggio 2013

Bibite energetiche: Red Bull addio alle “ali”

 

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Red Bull ha perso le ali e non potrà più trasmettere spot pubblicitari che decantano virtù e pubblicare immagini che incoraggino comportamenti pericolosi. La società ha accettato di cambiare i testi e i filmati di molte promozioni e del suo sito internet, in seguito ad un accordo stipulato con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

 

Testo estrapolato dalla sentenza dell’Antitrust

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mercoledì 15 maggio 2013

Pesce al mercurio e diossina ? Impariamo a conoscerne i rischi.

 

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Nel suo parere l’EFSA dichiara che non esistono grandi differenze tra il pesce selvatico e il pesce di allevamento in termini sia di sicurezza che di apporto nutrizionale * . Il consumo di pesce e, in particolare, di pesce grasso, ricco di acidi grassi polinsaturi a catena lunga n-3, risulta benefico per la salute cardiovascolare e per lo sviluppo fetale. In generale, le raccomandazioni nutrizionali suggeriscono di consumare pesce grasso una o due volte alla settimana. E’ nelle prime fasi del suo sviluppo che l’essere umano conosce il periodo di massima sensibilità ai contaminanti critici, quali il metilmercurio ed i composti diossina-simili. Gli esperti scientifici quindi consigliano, soprattutto per i gruppi più vulnerabili quali i nascituri, le donne in stato di gravidanza e le donne in età fertile, che i benefici nutrizionali del consumo del pesce siano valutati tenendo conto dei rischi potenziali riconducibili alla presenza di contaminanti in taluni tipi di pesce.

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In generale, il rispetto delle indicazioni nutrizionali relative al consumo di pesce non dovrebbe comportare un’assunzione di diossine e di bifenili policlorati (PCB) diossina-simili tale da destare preoccupazione sul piano della sicurezza; fa eccezione il pesce grasso proveniente dal Mar Baltico (come l’aringa e il salmone), per il quale i dati disponibili relativi alle concentrazioni di contaminanti giustificano l’esistenza delle raccomandazioni nutrizionali più specifiche proposte dalle autorità per la sicurezza alimentare di Svezia e Finlandia. Il gruppo di esperti scientifici fa notare, tuttavia, che le raccomandazioni nutrizionali relative al consumo di pesce dovrebbero tener conto anche di altre fonti di questi contaminanti nell’alimentazione. Per quanto concerne il metilmercurio, è improbabile che le donne che consumano fino a due porzioni di pesce a settimana superino la dose tollerabile, purché si evitino alcune specie di grandi pesci predatori. Un orientamento complementare sulle specie e le quantità di pesce più adatte alla dieta può essere fornito anche dalle autorità nazionali per la sicurezza alimentare dei singoli Stati membri. Infine, il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare raccomanda l’elaborazione di una metodologia coerente e concordata per l’esecuzione di valutazioni quantitative dei rischi e dei benefici correlati al consumo alimentare.

L’EFSA è stata incaricata dal Parlamento europeo di valutare i rischi per la salute derivanti dal consumo umano di pesce selvatico e di pesce di allevamento, e di includere una valutazione generale dell’impatto e del rischio legato al consumo di aringhe del Baltico. Il parere dell’EFSA si concentra sui metalli pesanti di maggior rilievo e sui contaminanti organici persistenti, vale a dire il metilmercurio, le diossine e i PCB diossina-simili, ed esamina anche il valore nutrizionale e i benefici del consumo di pesce. Per poter eseguire questa valutazione, che richiede competenze di tipo multidisciplinare, l’EFSA ha istituito un gruppo di lavoro “interpanel” costituito da membri provenienti dai seguenti gruppi scientifici: contaminanti nella catena alimentare (CONTAM); prodotti dietetici, alimentazione e allergie (NDA); additivi, prodotti o sostanze usati nell’alimentazione animale (FEEDAP); salute e benessere degli animali (AHAW).

Il pesce offre un importante apporto nutrizionale, fornendo proteine, acidi grassi (come per esempio gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga n-3 o LC n-3 PUFA) e talune vitamine e minerali. Il consumo di pesce è benefico per la salute cardiovascolare e può avere un’influenza benefica per lo sviluppo del feto. Per un apporto di LC n-3 PUFA benefico al sistema cardiovascolare spesso si consigliano, nelle raccomandazioni nutrizionali, una o due porzioni (130 g a porzione) di “pesce grasso” (come l’aringa o il salmone) alla settimana o quantità superiori di pesce magro.

Nella valutazione della sicurezza del pesce selvatico e del pesce di allevamento il gruppo di esperti CONTAM dell’EFSA ha riesaminato un’ampia gamma di contaminanti, giungendo alla conclusione che i due contaminanti per i quali i grandi consumatori di pesce potrebbero superare la dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) sono:

(1) il metilmercurio, che è presente in elevate concentrazioni nel tonno e in altri grandi predatori catturati prevalentemente in natura;


(2) le diossine e PCB diossina-simili, per i quali si riscontrano concentrazioni superiori nel pesce grasso, come l’aringa ed il salmone.

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Il metilmercurio è particolarmente tossico per il sistema nervoso e per lo sviluppo del cervello. L’esposizione a questa sostanza durante la gravidanza e la prima infanzia è quindi dannosa.

 

 

untitled È improbabile che le donne in gravidanza che consumano fino a due porzioni di pesce alla settimana superino la PTWI fissata per il metilmercurio, a condizione che non si consumi il tonno pinna blu o il tonno bianco. (Queste specie, comunque, non sono solitamente utilizzate per la produzione di tonno in scatola in Europa). Altri grandi pesci predatori quali il marlin, il luccio, il pesce spada e lo squalo, contengono spesso livelli elevati di metilmercurio. Già nel marzo del 2004 l’EFSA raccomandava che le donne in età fertile (e in particolare le donne intenzionate ad avere figli), le donne in gravidanza e in fase di allattamento, nonché i bambini piccoli, scegliessero tra diverse specie di pesce senza dare preferenza eccessiva ai grandi predatori come il pesce spada e il tonno, che si situano al vertice della catena alimentare.

 

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 Nel caso delle diossine e dei PCB diossina-simili sono necessari anni per ridurre la concentrazione di queste sostanze nell’organismo umano. Per le donne che desiderano una gravidanza non è quindi possibile abbattere questi livelli senza escludere completamente il pesce dalla dieta (nonché altre potenziali fonti di diossine e di PCB diossina-simili) per diversi anni prima del concepimento.

Tuttavia, le donne che consumano fino a due porzioni di pesce grasso alla settimana non superano la dose settimanale tollerabile provvisoria per diossina e PCB diossina-simili, sempre che facciano attenzione ad altre possibili fonti presenti nella dieta in modo da non superare la dose ammissibile.

L’EFSA è del parere che i consumatori frequenti di pesce grasso proveniente dal Mar Baltico, vale a dire l’aringa e il salmone selvatico del Baltico, abbiano maggiori probabilità di superare la dose ammissibile fissata per le diossine e i PCB diossina-simili rispetto ad altri consumatori di pesce grasso. I livelli di diossina e di PCB diossina-simili nell’aringa del Baltico e nel salmone selvatico del Baltico sono in media, rispettivamente, 3,5 e 5 volte superiori rispetto alle aringhe e al salmone di allevamento non provenienti dal Mar Baltico. Pareri specifici concernenti il consumo di pesce del Mar Baltico e che tengono conto di questi maggiori livelli di contaminazione,sono forniti dalle autorità nazionali per la sicurezza alimentare di Svezia e Finlandia.

Le raccomandazioni sul consumo di pesce, infatti, non possono prescindere dall’esposizione alimentare complessiva ai relativi contaminanti, calcolata sulla base di modelli di consumo nazionali. Le autorità nazionali per la sicurezza alimentare degli Stati membri sono in grado di fornire un orientamento sulle specie e le quantità di pesce più adatte alla dieta. I fattori che incidono sui livelli di contaminanti riscontrati nei pesci comprendono: la specie, la fase di vita e la loro alimentazione, la stagione ed il luogo di cattura. Questi livelli variano ampiamente all’interno di una stessa specie e da una specie all’altra, sia per i pesci selvatici che per quelli di allevamento. Alla luce dei dati disponibili non si riscontrano grosse differenze tra le concentrazioni di nutrienti e di contaminanti nel pesce selvatico e nel pesce di allevamento. Nel pesce di allevamento le principali fonti di contaminanti organici sono l’olio di pesce e la farina di pesce; è quindi necessario approfondire la ricerca relativa alle possibilità di riduzione dei livelli di contaminanti nei mangimi per pesci. Nel caso del pesce selvatico l’unico provvedimento possibile è il controllo a lungo termine delle emissioni di inquinanti nell’ambiente.

Il pesce, selvatico o di allevamento, trova una sua collocazione in una dieta ben equilibrata e in genere non esistono differenze di rilievo tra il pesce selvatico e il pesce di allevamento in termini di sicurezza per il consumatore.

 

Nota preliminare sulla valutazione del rischio relativa alla sicurezza dei pesci selvatici e dei pesci di allevamento (Richiesta n° EFSA-Q-2004-023)

1. Quali tipi di pesci sono stati presi in considerazione dall’EFSA per la valutazione del rischio?

Il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare ha concentrato la propria analisi per la valutazione del rischio sulle principali specie di pesci che si trovano sul mercato dell’Unione europea: aringa, salmone, tonno, trota iridea, carpa, acciuga, sgombro e sardina.

2. È salutare mangiare pesce?

Il pesce offre un contributo importante a una dieta equilibrata fornendo proteine, acidi grassi (quali gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga n-3, LC n-3 PUFA) e talune vitamine e minerali (vitamine A, B12 e D, iodio e selenio). Il consumo di pesce grasso o di grandi quantità di pesce magro garantisce un sostanziale apporto dietetico di acidi grassi polinsaturi a catena lunga n-3. Di conseguenza, le persone che non consumano pesce hanno difficoltà a raggiungere la loro dose giornaliera di LC n-3 PUFA consigliata per la salute cardiovascolare e lo sviluppo fetale.

Il pesce, però, può anche favorire in modo significativo un’esposizione alimentare a taluni contaminanti quali il metilmercurio, le diossine e i PCB, i ritardanti di fiamma brominati, il camfeclor e i composti organostannici. La concentrazione di questi contaminanti nel pesce varia in funzione della natura del contaminante e del tipo di pesce.

 

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I contaminanti liposolubili (come le diossine e i composti diossina-simili) si trovano soprattutto nei pesci grassi quali il salmone e l’aringa.

 

 

 

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I livelli di metilmercurio non dipendono invece dal contenuto di grasso del pesce; questa sostanza, che tende ad accumularsi nella catena alimentare, è maggiormente presente nei grandi pesci predatori (come il pesce spada e il tonno).

 

 

I grandi consumatori di pesci predatori quali il luccio o il tonno (in particolare il tonno pinna blu o il tonno bianco, raramente usati per la produzione di tonno in scatola in Europa) rischiano di superare la dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di metilmercurio. I grandi consumatori di pesce grasso rischiano di superare la PTWI di diossine e di composti diossina-simili.

Occorre tuttavia tenere presente che esistono altre fonti di esposizione alimentare ai contaminanti liposolubili. Anche i grandi consumatori di carne possono superare la PTWI di diossine (PCDD/F) e di composti diossina-simili, indipendentemente dal consumo di pesce. Sostituire il pesce con la carne non comporta quindi inevitabilmente una riduzione dell’esposizione alimentare a questi contaminanti.

L’assunzione di altri contaminanti presenti nel pesce, diversi dal metilmercurio, dalle diossine e dai PCB, non costituisce un pericolo per la salute. Il pesce non contribuisce in modo significativo all’esposizione alimentare complessiva a questi contaminanti e qualora ciò accada, è improbabile che persino i grandi consumatori di pesce superino i livelli di assunzione tollerabili (ove questi siano stati fissati).

3. Dovrei mangiare pesce in previsione o nel corso di una gravidanza?

Il metilmercurio è particolarmente tossico per il sistema nervoso e per lo sviluppo del cervello. L’esposizione a questa sostanza durante la gravidanza e la prima infanzia è quindi particolarmente dannosa. Il metilmercurio viene eliminato naturalmente dall’organismo, ma occorrono diversi mesi perché i livelli si abbassino.

Il tonno in scatola sembra avere livelli di metilmercurio più bassi rispetto al tonno fresco, a causa delle differenti specie e/o dimensioni del pesce utilizzato.( vedi sotto : Rio Mare )

Le donne in stato di gravidanza che consumano fino a due porzioni di pesce alla settimana difficilmente superano la PTWI di metilmercurio, a condizione che non consumino tonno pinna blu o tonno bianco. Queste specie, comunque, vengono usate raramente per la produzione di tonno in scatola nell’Unione europea. Contengono spesso livelli elevati di metilmercurio altri grandi pesci predatori quali il marlin, il luccio, il pesce spada e lo squalo. Raccomandazioni nutrizionali più specifiche, relative al consumo di pesce, sono proposte dalle autorità nazionali per la sicurezza alimentare dei singoli Stati membri.

Le diossine e i composti diossina-similiinfluiscono particolarmente sullo sviluppo del sistema riproduttivo maschile; l’esposizione del feto durante la gravidanza è pertanto il periodo più critico. Le diossine e i composti diossina-simili si accumulano nel tessuto adiposo e hanno una vita molto lunga; ciò significa che l’organismo impiega diversi anni per eliminare queste sostanze chimiche. Di conseguenza, i livelli presenti nell’organismo, o “carico corporeo”, durante la gravidanza non dipendono dall’apporto di diossina in quel dato periodo bensì dall’accumulo negli anni precedenti.

Il pesce grasso come il salmone e l’aringa contiene livelli più elevati di contaminanti, quali diossine e composti diossina-simili, rispetto al pesce magro.

Le donne in stato di gravidanza che consumano fino a due porzioni a settimana di pesce grasso, come il salmone o l’aringa non proveniente dal Baltico, non superano la dose settimanale tollerabile provvisoria di diossina e composti diossina-simili, sebbene siano da considerare anche altre fonti di esposizione alimentare.

Nel precedente parere del marzo del 2004, l’EFSA raccomandava alle donne in età fertile (e, in particolare, alle donne intenzionate ad avere figli), alle donne in stato di gravidanza e in fase di allattamento nonché ai bambini piccoli, di orientarsi su una vasta gamma di specie di pesce e di non consumare di preferenza grandi predatori come il pesce spada e il tonno.   (EFSA provides risk assessment on mercury in fish: precautionary advice given to vulnerable groups) . Questo parere è ancora valido e deve essere tenuto in conto nella scelta di quella singola o doppia porzione di pesce a settimana che si considera come un buon contributo a un’alimentazione salutare. Le autorità nazionali per la sicurezza alimentare dei singoli Stati membri propongono inoltre raccomandazioni nutrizionali più specifiche.

4. Perché il pesce del Mar Baltico è oggetto di un’attenzione speciale?

Il Mar Baltico è altamente contaminato da numerose sostanze inquinanti quali le diossine e i PCB. Sebbene il motivo di questa situazione non sia del tutto chiaro, si pensa che le attività industriali del passato e il lungo tempo di ritenzione dell’acqua possano costituire fattori importanti. I livelli di contaminazione nel pesce del Baltico si sono ridotti negli ultimi trent’anni, ma ad oggi non pare sussistere alcuna ulteriore diminuzione. I livelli di diossina e di composti diossina-simili nelle aringhe del Baltico sono in media 3,5 volte superiori rispetto alle aringhe di altri mari. Il salmone bianco del Baltico è circa 5 volte più contaminato con diossina e composti diossina-simili rispetto al salmone di allevamento.

Di conseguenza, la possibilità di superare la dose settimanale tollerabile provvisoria è maggiore se si consumano aringhe o salmone bianco del Baltico più di una volta alla settimana. In Svezia e in Finlandia, in particolare, sono divulgati pareri nazionali specifici rivolti soprattutto alle giovani donne. Questo perché le diossine e i composti diossina-simili vengono trattenuti a lungo dall’organismo, con conseguenze sui livelli riscontrati nelle donne durante la gravidanza e l’allattamento (per le donne che allattano al seno).

5. Quali specie di pesce sono allevate?

Nonostante il calo della pesca nell’Unione europea, il consumo di pesce è cresciuto almeno dell’1% all’anno nel corso degli ultimi dieci anni. La crescente domanda da parte dei consumatori è stata per lo più soddisfatta da una maggiore disponibilità di pesce di allevamento sia dell’Unione europea che di importazione. Il pesce catturato in natura rappresenta comunque circa due terzi del totale del pesce consumato. Tra i pesci che provengono prevalentemente o esclusivamente da allevamento figurano il salmone, la trota iridea e la carpa. I pesci prevalentemente catturati in natura sono l’aringa, l’acciuga, il tonno, lo sgombro e la sardina.

6. Il consumo di pesce di allevamento è meno sicuro del pesce selvatico?

Non esistono grandi differenze tra il pesce selvatico e il pesce di allevamento, in termini sia di sicurezza sia di apporto nutrizionale.I livelli di nutrienti e di contaminanti del pesce dipendono in gran parte dai seguenti fattori: specie, stagione, luogo, dieta, fase di vita ed età. Questi livelli variano ampiamente all’interno di una stessa specie e passando da una specie all’altra, sia per i pesci selvatici che per quelli di allevamento.

7. Il pesce europeo è più contaminato di quello nordamericano?

In un documento scientifico pubblicato circa un anno fa e in un suo seguito degli stessi autori (Hites et al., 2004 Foran et al., 2005) pubblicato lo scorso maggio si ipotizza in effetti che il salmone nordamericano sia meno contaminato di quello europeo. Gli autori tuttavia non tengono conto di fattori quali la stagione, il luogo, l’alimentazione, la fase di vita e l’età del pesce, che possono incidere notevolmente. Se si considerano questi fattori, non si osservano differenze consistenti tra i livelli di contaminanti presenti nel pesce europeo e in quello nordamericano, compreso il salmone.

A dicembre 2012 l’EFSA ha aggiornato il proprio parere scientifico sul mercurio negli alimenti. L’Autorità ha stabilito dosi settimanali tollerabili (TWI) delle principali forme di mercurio negli alimenti: metilmercurio e mercurio inorganico. Il metilmercurio è la forma di mercurio prevalente nel pesce e nei frutti di mare ed è particolarmente tossico per il sistema nervoso in fase di sviluppo, incluso il cervello. Il mercurio inorganico è meno tossico e può essere anch’esso presente nel pesce e nei frutti di mare, così come nei piatti pronti.

Il gruppo di esperti CONTAM ha esaminato nuove informazioni scientifiche riguardo alla tossicità di queste forme di mercurio e ha quindi stabilito una TWI per il metilmercurio di 1,3 µg/kg di peso corporeo (inferiore al valore fissato dal JECFA di 1,6 µg/kg). Per la maggior parte delle persone è improbabile che l’esposizione media al metilmercurio presente negli alimenti ecceda la TWI , se non associata ad altre fonti di esposizione (per lo più da materiale usato per otturazioni dentali).

A seguito della pubblicazione di questo parere scientifico, l’EFSA ha ricevuto una richiesta dalla Commissione europea di fornire un parere scientifico sui rischi e sui benefici derivanti dal consumo di pesce e frutti di mare in relazione al metilmercurio. L’EFSA ha accettato il mandato e la pubblicazione del relativo parere è prevista entro dicembre 2013.


Maggio 2013

“Il fatto alimentare” ha chiesto alla Rio Mare delucidazioni in merito al contenuto di mercurio nel tonno in scatola : ecco la risposta della Bolton, casa produttrice.

 

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Bolton Alimentari, proprietaria del marchio Rio Mare, tiene a fornire dei chiarimenti in merito ai dubbi avanzati sui contenuti del comunicato “Il pesce in scatola batte la crisi” e, più in generale, a ribadire la qualità e la sicurezza del proprio tonno in scatola.

L’azienda tiene innanzitutto a sottolineare come il mercurio sia un metallo che ha origine naturale (erosione rocce, attività vulcanica) e può anche provenire da alcune attività umane (produzioni industriali, pesticidi, medicinali). Nell’acqua la forma inorganica di questo elemento viene poi trasformata da parte della microflora marina nella forma organica, il metilmercurio, che si accumula nei tessuti dei pesci. Questo composto è presente in tutti gli organismi acquatici, in particolare in quelli che si trovano al vertice della catena alimentare (squalo, pesce spada e alcune specie di tonno). Per la presenza di metilmercurio nei prodotti della pesca, la legislazione italiana fa riferimento al Regolamento CE n. 1881 del 2006 “Tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari” che prevede un tenore medio, nelle parti commestibili, non superiore a 0.5 mg/kg di prodotto fresco; per alcune specie ittiche, tra cui il tonno, il tenore medio di mercurio è fissato invece a 1 mg/kg di prodotto. I rigorosi e regolari controlli effettuati sulle materie prime e sui prodotti finiti Rio Mare dimostrano che il contenuto di mercurio è mediamente inferiore a 0,15 mg/kg, dunque un livello ben al di sotto del limite previsto dalla legge vigente in materia.

Per quanto riguarda le dosi settimanali di tonno in scatola consigliate, l’azienda vuole invece precisare che la raccomandazione riportata dal claim Rio Mare è pienamente rispondente alle raccomandazioni della EFSA e della FDA e rispettosa dunque della salute di tutti i consumatori. Le confezioni di tonno in scatola Rio Mare più comunemente utilizzate come monoporzione (oltre il 50% dei consumi) hanno infatti un contenuto di 80g che, sgocciolato, corrisponde a circa 52g di pesce: un quantitativo che permette, anche con il consumo di due confezioni, di rimanere al di sotto sia dei 170g raccomandati per donne in gravidanza e bambini sia dei 340g previsti per un adulto.

Bolton Alimentari auspica con questa lettera di aver fornito delle risposte chiare ed esaurienti in merito alla sicurezza e qualità dei prodotti Rio Mare e rimane a disposizione per  eventuali ulteriori informazioni

sabato 27 aprile 2013

La Vitamina D, un valido aiuto da non dimenticare.

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La vitamina D è essenziale per la salute dell'osso, nel bambino suoi livelli ematici inadeguati causano il rachitismo, un difetto di mineralizzazione della cartilagine di accrescimento e dell'osso ancora in formazione.
La scoperta che le cellule della maggioranza dei tessuti posseggono un recettore per la vitamina D e che gran parte di esse è in grado di convertire la 25-idrossivitamina D circolante, nelle forma attiva, cioè nell'1-25 diidrossivitamina D, ha permesso di chiarire meglio la fisiopatologia di questa vitamina.
 
Il rachitismo è la più appariscente delle manifestazioni di carenza, ma la vitamina D ha anche effetto sulla pressione arteriosa, sul sistema respiratorio diminuendo le riacutizzazioni dell’asma e l’insorgere di raffreddori o epidemie influenzali. La carenza di vitamina D sembra inoltre influenzare la comparsa di malattie autoimmuni quali il diabete di tipo 1, lo sviluppo di alcuni tumori (colon, prostata, polmoni, sistema linfatico, seno), l’insorgenza e la manifestazione di alcune patologie cutanee quali la psoriasi e la dermatite atopica.


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La fonte principale di vitamina D è il sole: esponendosi al sole in modo corretto, la nostra pelle produce, infatti, circa l’80% del suo fabbisogno. Agli esseri umani quindi la vitamina D arriva dall'esposizione alla luce del sole, dalla loro dieta e dai supplementi di vitamina, aggiunti alla dieta. Una dieta ricca di olio di pesce previene la deficienza di vitamina D. La radiazione solare ultravioletto B (lunghezza d'onda fra 290 e 315 nm) penetra attraverso la cute e converte il 7-deidrocolesterolo in previtamina D3, che è rapidamente convertita in vitamina D3 (vedi Figura ). Poiché un eventuale eccesso di previtamina D3 o di vitamina D3 è distrutto dalla stessa luce del sole, un'eccessiva esposizione alla luce del sole non causa mai intossicazione da vitamina D3 .


 
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La vitamina D, se da un lato si può considerare una vera e propria vitamina (infatti circa il 20% del suo fabbisogno viene assunto con l’alimentazione), dall’altro, una volta trasformata nella sua forma attiva, agisce come un ormone, in grado di regolare diverse funzioni del nostro organismo.



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Deficit di vitamina D si riscontra di frequente nelle varie fasce di età, in particolare in quella pediatrica. I bambini appartenenti a gruppi etnici che presentano con maggior frequenza ipovitaminosi D, soprattutto per motivi costituzionali e religiosi (iperpigmentazione melanica della cute, uso di indumenti e veli coprenti ) sono particolarmente a rischio.



Un bambino di qualche anno fa, dopo i compiti, incontrava gli amici nella strada sotto casa per giocare a pallone, andare in bicicletta o fare giochi di gruppo all’aperto. Il bambino di oggi, invece passa la maggior parte del suo tempo libero al chiuso col suo pc nel suo mondo virtuale, oppure è portato in palestra per fare attività che si svolgono sempre al chiuso.


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I fattori di rischio principali per la carenza sono: il colore scuro della pelle; la povertà , il sesso: le femmine sono più a rischio dei maschi (x 2). Fattori di rischio aggiuntivo in altre età della vita sono il sovrappeso e l'obesità, ed il tempo (>4 h/die) passato alla televisione. L'ipovitaminosi D può essere presente già alla nascita nei nati da madri con grave carenza di vitamina D, come ad esempio si può verificare in  donne gravide che si espongono poco al sole.
La vitamina D si misura quantificando i livelli di 25(OH)D presenti nel sangue ed esprimendo la sua concentrazione o in nanogrammi per millilitro (ng/ml) o nanomoli per litro (nmol/L);
1ng/ml x 2,5 = 1nmol/L
La scelta del limite da adottare per stabilire uno stato vitaminico D sufficiente è quanto mai discusso ed affannoso.
Basti pensare che gli inglesi considerano deficienza sotto i 20 nmol/L ( 10 ng/ml ), l'IOM-l'AAP-l'ESPGHAN considerano deficienza sotto i 50 nmol/L ( 20 ng/ml ), l'Endocrine Society e l'IOF considerano anche la fascia di insufficienza tra  i 50 e 75 nmol/L ( 20 e 30 ng/ml ).
La ricerca del valore "normale" è stata effettuata in tanti modi (correlazioni col PTH, con l'assorbimento intestinale di calcio, con i valori densitometrici, addirittura con la percentuale di osteomalacia alle autopsie), ma purtroppo persiste l'incertezza.
Possiamo attenerci  ai seguenti valori controllabili tramite un esame del sangue :




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Si può parlare di insufficienza di Vitamina D quando i livelli ematici della vitamina sono inferiori a 30 ng/ml e di carenza grave per livelli inferiori a 20 ng/ml.



L'apporto di Vitamina D con la dieta è scarso e non è facile determinare quale sia il tempo di esposizione alla luce solare che garantisce al singolo individuo un'adeguata sintesi cutanea di questa vitamina e che per questo motivo sono state riviste le raccomandazioni che permettono di assicurare livelli adeguati di questa Vitamina a tutti i lattanti compresi quelli esclusivamente allattati al seno. Inoltre in Europa solo pochi alimenti sono integrati con Vitamina D e i bambini sono particolarmente esposti al rischio di carenza.
 
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Nessuno studio ha dimostrato benefici aggiuntivi a dosi maggiori di 400 UI/die in lattanti o bambini e che per i lattanti allattati esclusivamente al seno occorrono almeno 400 UI/die per mantenere le concentrazioni sieriche di vitamina al di sopra delle 50 nmol/l escludendo il rischio di rachitismo nutrizionale. Anche i bambini che assumono meno di 500 ml un latte formulato devono ricevere la supplementazione di vitamina D.



Per i lattanti una supplementazione di 400 UI/ die viene raccomandata dall'Institute of Medicine of the National Academies, dall'American Academy of Paediatrics, dal Drug and Therapeutics Committee of the Lawson Wilkins Paediatric Endocrine Society, dalla Canadian Paediatric Society e dalla European Society for Paediatric Endocrinology recommend.



I neonati ad alto rischio durante l'inverno dovrebbero essere supplementari con 800–1000 UI/die secondo la European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition. Raccomandazioni analoghe si ritrovano anche nelle linee guida del Dipartimento di salute in UK secondo cui tutti i bambini allattati al seno devono essere supplementati sino a i 5 anni.


Madre natura sperava che il sole fosse sufficiente, forse non aveva considerato l'incremento della prevalenza di obesità, l'uso dei filtri solari e quanto poco tempo i bambini e gli adolescenti di oggi passano all'aria aperta.
Supplementare tutti sicuramente è eccessivo; penso sia opportuno identificare quelle categorie a rischio e concentrarci essenzialmente su quelle.




























mercoledì 17 aprile 2013

Aiuto mio figlio ha una zecca…

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Con l’inizio dei primi caldi può capitare di trovare al ritorno da una gita all’aperto un ospite inatteso attaccato a vostro figlio….

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Le zecche sono artropodi (acari appartenenti alla classe degli Arachnidi), parassiti esterni delle dimensioni di qualche millimetro. Il loro ciclo vitale si sviluppa in tre fasi successive (larva-ninfa-adulto) che si possono svolgere tutte su uno stesso ospite oppure su due o tre ospiti diversi. Non sono molto selettive nella scelta dell’organismo da parassitare, ma possono scegliere diverse specie animali dai cani ai cervi, agli scoiattoli fino all’uomo.

 

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In Italia sono presenti due famiglie di zecche: quella delle Ixodidae (zecche dure) e quella delle Argasidae (zecche molli). Le zecche dure hanno un caratteristico scudo dorsale chitinoso e in Italia comprendono 6 generi: Ixodes, Boophilus, Hyalomna, Rhipicephalus, Dermacentor, Haemaphysalis. Le zecche molli, sprovviste di scudo dorsale, sono presenti con due generi: Argas e Ornithodorus.

Le zecche necessitano di pasti di sangue per completare il loro sviluppo e ciclo riproduttivo, ma possono resistere per lunghi periodi di tempo a digiuno assoluto. La loro attività è massima, nei Paesi a clima temperato, nel periodo maggio-ottobre. Il pasto di sangue, durante il quale la zecca rimane costantemente attaccata all’ospite, si compie nell’arco di ore per le zecche molli, di giorni o settimane per le dure.

Le zecche sono in grado di trasmettere all’uomo numerose e differenti patologie: la borreliosi di Lyme, l’ehrlichiosi, le febbri bottonose da rickettsiae, la tularemia, la febbre Q, la babesiosi e l’encefalite virale. Gli Argasidi sono vettori di patologie meno rilevanti dal punto di vista epidemiologico: febbri ricorrenti da zecche e febbre Q.


imagesCAZ823I2L’habitat preferito è rappresentato da luoghi ricchi di vegetazione erbosa e arbustiva, con microclima preferibilmente fresco e umido, ma le zecche possono trovarsi anche in zone a clima caldo e asciutto o dove la vegetazione è più rada. La loro presenza dipende, infatti, essenzialmente dalla presenza sul territorio di ospiti da parassitare, per questo luoghi come stalle, cucce di animali e pascoli sono tra i loro habitat preferiti.
Con l’inizio della bella stagione le zecche abbandonano, lo stato di letargo invernale e si avviano alla ricerca di un ospite da parassitare.

Nei mesi primaverili ed estivi, che vanno da aprile a ottobre, è quindi più frequente cadere vittima del cosiddetto "morso da zecca".

 


Il morso della zecca non è di per sé pericoloso per l’uomo, i rischi sanitari dipendono invece dalla possibilità di contrarre infezioni trasmesse da questi animali in qualità di vettori.

Le malattie trasmesse da zecche sono, nell’ambito delle malattie da vettore, seconde solamente al gruppo di patologie trasmesse dalle zanzare come rilevanza epidemiologica.
L’eziologia di queste malattie da vettore comprende diversi microrganismi: protozoi, batteri e virus.

Le patologie infettive veicolate da zecche che presentano rilevanza epidemiologica nel nostro Paese sono:

La maggior parte di queste malattie può essere diagnosticata esclusivamente sul piano clinico, ma una pronta terapia antibiotica, nelle fasi iniziali, è generalmente risolutiva in particolar modo per le forme a eziologia batterica.

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Le zecche non saltano e non volano sulle loro vittime, ma si appostano all’estremità delle piante aspettando il passaggio di un animale o di un uomo. Grazie all’anidride carbonica emessa e al calore dell’organismo, questi acari avvertono la presenza di un eventuale ospite e vi si insediano conficcando il loro rostro (apparato boccale) nella cute e cominciando a succhiarne il sangue.

 

Il morso è generalmente indolore perché emettono una sostanza contenente principi anestetici.

Generalmente rimangono come parassiti nell’organismo dell’ospite per un periodo che varia tra i 2 e i 7 giorni e poi si lasciano cadere spontaneamente.


Prevenzione


Esistono alcune precauzioni per ridurre significativamente la possibilità di venire a contatto con le zecche, o perlomeno per individuarle rapidamente, prima che possano trasmettere una malattia. Coloro che si apprestano a recarsi in aree a rischio dovrebbero:

  • vestirsi opportunamente, con abiti chiari che rendono più facile l’individuazione delle zecche, coprire le estremità, soprattutto inferiori, con calze chiare (meglio stivali), utilizzare pantaloni lunghi e preferibilmente un cappello.
  • evitare di toccare l’erba lungo il margine dei sentieri, non addentrarsi nelle zone in cui l’erba è alta.
  • terminata l’escursione, effettuare un attento esame visivo e tattile della propria pelle, dei propri indumenti e rimuovere le zecche eventualmente presenti. Le zecche tendono a localizzarsi preferibilmente sulla testa, sul collo, dietro le ginocchia, sui fianchi.
  • trattare gli animali domestici (cani) con sostanze acaro repellenti prima dell’escursione.
  • spazzolare gli indumenti prima di portarli all’interno delle abitazioni.

Se individuate sulla pelle, le zecche vanno prontamente rimosse perché la probabilità di contrarre un’infezione è direttamente proporzionale alla durata della permanenza del parassita sull’ospite. Bisogna comunque tenere presente che solo una percentuale di individui è portatore di infezione.

Rimozione della zecca

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  • la zecca deve essere afferrata con una pinzetta a punte sottili, il più possibile vicino alla superficie della pelle, e rimossa tirando dolcemente cercando di imprimere un leggero movimento di rotazione.
  • durante la rimozione bisogna prestare la massima attenzione a non schiacciare il corpo della zecca, per evitare il rigurgito che aumenterebbe la possibilità di trasmissione di agenti patogeni.
  • disinfettare la cute prima e dopo la rimozione della zecca con un disinfettante non colorato. Dopo l’estrazione della zecca sono indicate la disinfezione della zona (evitando i disinfettanti che colorano la cute).
  • evitare di toccare a mani nude la zecca nel tentativo di rimuoverla, le mani devono essere protette (con guanti) e poi lavate.
  • spesso il rostro rimane all’interno della cute: in questo caso deve essere estratto con un ago sterile.
  • distruggere la zecca, possibilmente bruciandola.

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Cosa non fare

  • Non utilizzare mai per rimuovere la zecca: alcol, benzina, acetone, trielina, ammoniaca, olio o grassi, né oggetti arroventati, fiammiferi o sigarette per evitare che la sofferenza indotta possa provocare il rigurgito di materiale infetto.

zecca3Alla rimozione della zecca dovrebbe seguire un periodo di osservazione della durata di 30-40 giorni per individuare la comparsa di eventuali segni e sintomi di infezione. Se dovesse comparire un alone rossastro che tende ad allargarsi oppure febbre, mal di testa, debolezza, dolori alle articolazioni, ingrossamento dei linfonodi, è importante rivolgersi al proprio medico curante.

 

La somministrazione di antibiotici per uso sistemico nel periodo di osservazione è sconsigliata, perché può mascherare eventuali segni di malattia e rendere più complicata la diagnosi.
Nel caso in cui, per altre ragioni, fosse necessario iniziare un trattamento antibiotico, è opportuno impiegare farmaci di cui sia stata dimostrata l’efficacia sia nel trattamento delle rickettsiosi che delle borreliosi.